Ecco la seconda parte delle considerazioni sul mondiale, se nella prima parte vi abbiamo parlato a livello internazionale oggi vogliamo entrare nel merito della nazionale italiana e del campionato nostrano.
Per chi se la fosse persa qui la prima parte (cliccare sulla parola qui).
A cura di Carlo Escoffier.
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La nazionale tedesca, medaglia di bronzo |
Per quanto riguarda il discorso giocatori italiani bisognerebbe ripartire da zero, avviando una progressiva riforma che veda al centro dei progetti dei club l’impiego di giocatori nostrani, fondamentale anche in ottica nazionale. Il trend che negli ultimi anni ha caratterizzato le scelte di mercato è stato di ingaggiare giocatori stranieri piuttosto che valorizzare il nostro “prodotto”; la carenza in posto 4 e al palleggio della nazionale è sintomo della mancanza di valide alternative, derivante dall’inesperienza dei ragazzi italiani, costretti nella maggior parte dei casi ad esser seconde scelte in A1 o titolari sì, ma nel campionato cadetto. Per tutti questi motivi è impossibile additare Berruto per il recente insuccesso della nazionale, ma bisogna ricercare le cause nelle scelte delle dirigenze dei club in primis, per poi spostarci sul discorso tattico. La mancanza di valide alternative, tuttavia, poteva esser sopperita da un tasso tecnico elevatissimo della rosa attuale, che però manca, o da un’intelligenza tattica maturata dall’esser al passo con i nuovi dettami della pallavolo maschile moderna. La pallavolo, infatti, è soggetta a cicli e si è evoluta dagli anni ’80 e ’90, dove la tecnica prevaleva sulla supremazia fisica, verso gli anni 2000, durante cui la prestanza e la predisposizione fisica hanno assunto importanza sempre maggiore, con l’altezza che è diventata il metro di giudizio per un giocatore, fino all’esasperazione di educare ragazzotti alti 2m al ruolo di palleggiatore. L’esperimento a volte è riuscito, altre no: Zagumny ha scritto la storia, Bonetti (martello titolare nella promozione di Monza) e Zaytsev sono stati spostati a ruoli più consoni alle loro leve. Adesso le prerogative sono altre, e vengono direttamente dal mondo del volley femminile: difesa e battuta flottante! Con delle linee di ricezione abituate sin da giovani a ricevere battute al salto sui 100-120 km/h, l’aspetto tecnico è stato curato meno, e abbiamo liberi e schiacciatori-ricevitori che su palle float entrano nel pallone (eclatante Marra nei play-off scudetto contro Perugia). La Polonia, ora campione del Mondo, ha fatto della float il suo marchio di fabbrica così come la Germania che ha costruito sulla battuta flottante il proprio terzo posto, potendo contare su un muro solido ed efficace che veniva ovviamente favorito dalla ricezione avversaria imperfetta. La difesa, in secondo luogo, diviene fondamentale non solo nell’ottica di poter ricostruire il gioco, ma anche in quella di demolire psicologicamente gli avversari.
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N'Gapeth contro il muro brasiliano |
Chiunque abbia giocato contro il miglior libero del mondiale, il francese Grebennikov (degno erede di Exiga ed Henno), conosce perfettamente la sensazione di impotenza che nasce da una schiacciata difesa e trasformata in break dagli avversari. Avere al proprio fianco un libero onnipresente dona sicurezza alla linea di ricezione e alla difesa, migliorando in generale le prestazioni della squadra, fomentata dall’adrenalina del libero che difende tutto. E’ anche su questo che la Francia ha costruito il proprio quarto posto, così come la Polonia che ha in Zatorski un vero a proprio leader. L’Iran, che prima di Velasco era una pietra grezza ed ora è diventata gemma, è una realtà del volley mondiale per un altro motivo: la voglia di emergere. Abbandoniamo il discorso tattico e spostiamoci su quello psicologico. Com’è possibile che l’Iran sia diventato così forte in così breve tempo? Motivazioni. L’Iran è l’esempio di come la fame di vittoria, affiancata da un medio tasso tecnico, possa portare a risultati impensabili e miglioramenti rapidi e costanti. Prendiamo ad esempio Marouf, palleggiatore e capitano della squadra di Kovac, e Seyed Mousavi, uno dei migliori centrali per rendimento assoluto sia nella World League che al mondiale. Entrambi sconosciuti fino ad un anno e mezzo fa, ambedue richiestissimi nelle precedente finestra di mercato. Loro due e in generale l’intera rosa dell’Iran sono la personificazione dei principi teorici insegnati a tutti coloro che giocano a pallavolo: determinazione, sudore, lavoro di squadra.
Di questi tre elementi, i due tattici e quest’ultimo psicologico, l’Italia che abbiamo visto al mondiale non ne possedeva uno: difesa inesistente (solo Colaci quando è stato impiegato), fallosi e inefficaci in battuta (solo Buti si salva), motivazioni e determinazione zero (passivi in tutto il torneo). Come avremmo potuto aspirare ad un risultato migliore? La logica ci nega qualsiasi possibilità di successo, e i fatti lo hanno dimostrato.
Allora vi chiedo: voi cosa fareste per cambiare le cose e per rilanciare la nostra pallavolo? Meglio essere Polonia, umile e vittoriosa, o Italia, superba ed eliminata?
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