Polonia 2014, delusioni, rivelazioni e riflessioni. Parte I.

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A cura di Carlo Escoffier 

Nell’ultimo atto di un mondiale ricco di sorprese, domenica sera abbiamo assistito alla vittoria della Polonia sul Brasile, ammirando il successo del novellino Antiga sull’allenatore più titolato al mondo, Bernardo de Rezende. Seconda sconfitta in una finale nel giro di due mesi per il Brasile dopo quella rimediata contro gli USA in World League. “Oltre il danno, la beffa”, in quanto per i brasiliani non solo è sfumato il tetto del mondo, ma anche il record del poker consecutivo di mondiali vinti, traguardo ormai irraggiungibile. 
E pensare che il match era iniziato con il dominio dei giocatori sudamericani, e nell’altra metà campo una Polonia che appariva allo sbando, senza timone né timoniere. Nonostante ciò, la squadra di casa ha saputo ricompattarsi ed affrontare punto dopo punto la corazzata capitanata da Bruninho, chiudendo la partita sul 3-1, dopo aver dato non solo dimostrazione di forza tecnica, ma anche di caparbietà e tenacia. L’euforia di questo successo imprevisto avrebbe potuto offuscarci gli occhi, lasciandoci pensare che la Polonia fosse ricca di fenomeni perché solo in questo modo sarebbe stato possibile sconfiggere i brasiliani, ma non è così. Possiamo con freddezza e distaccamento affermare che la Polonia ha meritatamente vinto, ma non di certo per la superiorità tecnica. Questo ‘miracolo sportivo’ è frutto di programmazione tattica, coraggio nelle scelte dei giocatori (Kurek out e Mika titolare, ad esempio) e sopratutto è figlio di una motivazione comune ai giocatori bianco-rossi: essere vincitori in patria. Il percorso dei padroni di casa parla al loro posto: una sola sconfitta (contro USA) in tutto il torneo che passa in secondo piano se paragonata alle vittorie contro Russia, Brasile (due volte), Serbia, Francia (vera rivelazione) e la nostra amata nazionale. Nell’ultimo mese le sorprese non sono mancate e su di tutte, per noi italiani, troviamo il tredicesimo posto che la nostra nazionale porta a casa, deludendo le aspettative e lasciando con l’amaro in bocca gli italiani appassionati di pallavolo. Un’intera nazione era stata illusa dal bronzo in World League, risultato giustificato dai nomi delle squadre finaliste. L’illusione però è durata ben poco, e la triste realtà è salita a galla dopo aver superato il primo girone del mondiale per il rotto della cuffia. La nostra nazionale è apparsa il più delle volte molto slegata, priva di un obiettivo comune (nella Polonia ha fatto la differenza) e di gerarchie. Per un allenatore riconoscere delle certezze in alcuni giocatori è fondamentale, significa aver garantite delle prestazioni minime derivanti dall’età e dall’esperienza degli stessi. Nell’Italvolley le gerarchie sono saltate dopo la seconda partita. Con un Travica incapace di organizzare il gioco (e non parliamo di un giocatore inesperto, ma del palleggiatore vincitore della Champions) che ha mostrato lacune di concentrazione e tecniche (primi tempi su tutto) inconcepibili per un giocatore a quei livelli, con una coppia Parodi-Kovar impaurita e priva di un costante rendimento in ricezione e attacco, con Rossini spaesato tanto da costringere Berruto ad optare per il gioco a due liberi, i punti di riferimento scompaiono, e con loro le speranze dell’intera nazionale.
Simone Buti, positivo il suo mondiale
Le note positive fortunatamente ci sono: un Buti ritrovato, sia come giocatore che come leader, e un Lanza cresciuto esponenzialmente, sempre più responsabilizzato a dispetto della giovane età. Le sfortune degli azzurri non sono però riconducibili esclusivamente a carenze tecnico-tattiche, altrimenti come potremmo giudicare il terzo posto della Germania? Il tredicesimo posto è conseguenza di una pallavolo superata, di un campionato in decadimento e di una carenza di giocatori italiani di livello internazionale. Tre elementi che portano ad un’unica conclusione: in Italia il ritmo di sviluppo della pallavolo è lentissimo rispetto a quello europeo e mondiale! Se un tempo venivamo classificati come una delle regine del volley mondiale e il nostro campionato era il massimo livello che un giocatore potesse raggiungere nella sua carriera, adesso siamo lontani da quegli anni felici. In merito al discorso campionato i riscontri sono semplici ed immediati, in quanto il livello del massimo torneo su scala nazionale può esser facilmente analizzato con una valutazione delle rose delle squadre neo-promosse dalla A2, che hanno mantenuto almeno per il 50-60% l’organico affrontato per la promozione. Prendiamo ad esempio Padova o Milano, che mantengono titolari in regia Orduna e Mattera, oppure Monza che conferma Padura Diaz ed Elia nello starting six. Se una squadra neo-promossa decide di affrontare con lo stesso roster un campionato di livello superiore rispetto al precedente, ciò significa che il livello del massimo campionato italiano si è abbassato drasticamente.

Le nostre considerazioni non sono finite qui, c'è ancora qualche argomentazioni sul campionato italiano che vogliamo sottoporvi, DOMANI la seconda parte.
In attesa di sapere nei commenti, anche nella pagina Facebook, se la pensate come noi o avete qualcosa d'aggiungere.. 

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