Volley a 360° : le parole di Maurizia Cacciatori e Mauro Berruto nella serata di Vigevano

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La locandina dell'evento
a cura di Alberto Pastormerlo

Venerdì 27 novembre, presso il Teatro Moderno di Vigevano, si sono ritrovati due grandi personaggi della pallavolo italiana: Maurizia Cacciatori e Mauro Berruto, il tutto arricchito dalla presenza di Claudio Arrigoni, direttore di Gazzetta TV. L’incontro è stato organizzato dall’organizzazione art4sport, per raccogliere fondi a favore di bambini e ragazzi portatori di protesi di arto.
La serata si apre con la lettura della lettera ai genitori scritta da Berruto “Lapallavolo è uno sport pericoloso”, preludio di una chiacchierata negli spogliatoi: questo lo spirito di “Dietro le quinte dello sport”.
Prima domanda è d’obbligo a coach Berruto su quanto avvenuto a Rio, in occasione della World League. “C’è stata la deliberata volontà di non rispettare la regola data, l’aggravante è che solo ALCUNI hanno trasgredito, avrei preferito trovare TUTTA la squadra in un bar della città. Chiaramente quello non è stato l’unico motivo che mi ha portato a prendere quella decisione (il rimpatrio di Zaytzev, Randazzo, Sabbi e Travica), c’era infatti una storia precedente. Tengo a precisare che la punizione non era una condanna a morte, era però una possibilità di riscrivere le regole e, in un primo momento, la mia scelta era stata difesa e condivisa anche dalla Federazione. Poi noi abbiamo perso di misura la partita successiva e il risultato tra Polonia e Serbia ha fatto rivalutare la mia posizione; un pallone dentro anziché fuori, a quanto pare, fa la differenza. Fa male ancora oggi, penso farà male per sempre. Ho il rimpianto di non essere a Rio 2016 per le nostre Olimpiadi, ma sono felice che 11 su 14 giocatori che saranno presenti a questo appuntamento hanno esordito con me”.
Tutt’altro tema viene proposto a Maurizia: il suo tweet con l’ex fidanzato Gianmarco Pozzecco, giocatore di basket. “È stata una bellissima storia d’amore, ma due persone come noi non potevano sposarsi. A 11 giorni dalla data delle nozze ho deciso di fare un passo indietro, avevo capito che avrei fatto male a lui e a me stessa e così ho deciso non sposarlo. Posso dire che la pallavolo ha contribuito a fare di me una persona coraggiosa, di avere cioè il coraggio di capire che alcuni passi non sono da compiere”.
Arrigoni pone una nuova questione a Mauro: “Com’è allenare giocatori col carattere simile a quello della Cacciatori?”. “È sempre bello avere a che fare con la schiettezza. Meglio affrontare il problema quando è ancora piccolo. Secondo me, è doveroso per un allenatore entrare nelle dinamiche di gruppo. Essere CT della Nazionale è diverso dall’essere allenatore di un Club, significa avere meno tempo per migliorare la tecnica, quindi bisogna concentrarsi sulla costruzione dell’identità e dell’energia. Devi dare alla squadra un linguaggio semplice e unico per tutti. Si lavora sui cervelli”.
Uno scatto della serata
Domanda delle domande: qual è il vostro ricordo più bello? Maurizia: “Il regalo più bello dello sport è la consapevolezza dell’oggi. Mi rendo conto dei valori delle mie scelte, sono coraggiosa grazie alla pallavolo, e l’amicizia, ho amiche in tutto il mondo”. Mauro: “Ci tengo a precisare che ho iniziato come scoutman in B2 e non come giocatore di pallavolo. Io ho tre ricordi: il primo è di una partita a Vibo, io allenavo il Piacenza e quella vittoria ha segnato il passaggio alla massima serie. Il secondo è rappresentato dalla chiamata ad allenare la Nazionale Finlandese e di essere riuscito a far crescere la squadra e l’amore per la pallavolo in quel Paese. Il terzo è sicuramente l’Olimpiade di Londra. L’Olimpiade è un’esperienza che non si può accumunare alle altre, è una categoria a parte. Ricordo che dovevamo giocare la partita alle 9 del mattino e dovevamo attraversare la città, impegnata quel giorno, per altro, con la maratona. Ci siamo dovuti svegliare alle 5.30 e, come ovvio, arrivammo al palazzetto in notevole anticipo. Ho detto ai ragazzi: è come se un saltatore in alto si preparasse per quattro anni a saltare con alcune condizioni meteo e poi, il giorno della gara, allo stadio piove. Bisogna essere capaci di riformulare i parametri. Lì (rispetto a Rio, s’intende) fui io a dire ai ragazzi di uscire, di andare a bere un caffè prima della partita”.
Si passa alla vita da atleta con Maurizia. “Ero a Umbertide con la Nazionale Juniores, faceva davvero molto caldo, era agosto, con un allenatore cinese. Lui aveva deciso di mettermi da sola, senza pallone, davanti a uno specchio a fare il movimento del palleggio. 6 ore al giorno. Voleva vedere quanto resistevo. Ma io sono nata per stare in palestra, ha scelto me tra tutte le ragazze del gruppo. A fine allenamenti ci faceva correre fino all’albergo che era in cima ad una salita e io un giorno decisi di fare l’autostop, volevo arrivare prima di tutti. Due ragazzi mi hanno dato un passaggio e ce l’ho fatta. L’allenatore mi guardò dal balcone e mi disse: “Numero uno!!”. Con la Nazionale Seniores invece ci siamo fatte strada poco alla volta, ricordo che continuavano a farci vedere i filmati della Nazionale Dei Fenomeni e ci dicevano “Voi qui, loro lassù”. Ma tutte noi avevamo un obiettivo e questo ci ha fatto superare le avversità. Per me poi è importante che la palleggiatrice abbia una qualità: essere in grado di capire chi ha davanti; secondo me la palleggiatrice deve essere un po’ chioccia. Vi racconto poi l’esperienza con il Pupazzone. Ci allenava Marco Bonitta e avevamo uno psicologo che ci diceva: “Quando siete arrabbiate, date un pugno al Pupazzone”. Io non ho mai accettato il momento-Pupazzone. E quando vedevo le mie compagne che, anche se non volevano farlo, davano questo pugno per stare alle regole, io non potevo accettarlo, non potevo accodarmi a loro. Quando parlai a tu per tu con lo psicologo, gli chiesi di fare delle traduzioni di francese, quelle sì che mi avrebbero resa più serena. La comunicazione tra componenti dello staff deve sempre esserci. Io mi vergognavo di quel Pupazzone, pensate che c’era anche alle partite!! Secondo me, è inutile spingere le persone verso cose in cui non credono”.
Mauro interviene: “È bene sottolineare la differenza tra motivatore e psicologo dello sport. Il primo ha fatto più danni della grandine. È una persona che ti mette una benzina speciale e ti fa raggiungere i 200 km/h, ma, quando questo carburante finisce, vai più piano di prima. Lo psicologo dello sport invece ti dà costanza. La grandezza dello sport è anche la bellezza di mettere insieme punti di vista diversi. Ci tengo a sottolineare che c’è differenza tra essere atleta in Nazionale ed esserlo in un Club. A proposito di Nazionale, singolare è l’esperienza del villaggio olimpico, dove puoi trovare anche il Mc Donald’s gratis!”.
Anche Maurizia ricorda l’esperienza olimpica e racconta: “Angelo Frigoni, il nostro allenatore, alle Olimpiadi ci richiedeva la massima concentrazione, ma rimanemmo anche noi estasiate dal Mc Donald’s gratis. Un giorno a colazione, nel villaggio olimpico, vidi seduto a un tavolo il giocatore di basket Fučka con un barattolo. Si era portato probabilmente da casa la sua marmellata al burro d’arachidi e mangiava solo quella, pur essendoci la possibilità della colazione internazionale all’interno del villaggio, aveva qualcosa di speciale. Un giorno mi decisi a chiedergliene un po’ e lui, di tutta risposta mi disse: “No, è mia!”.
Berruto riprende il discorso “A Londra avevamo la partita contro gli USA, eravamo sfavoriti secondo i pronostici. Era il giorno della partita tra Federer e Del Potro. Senza dire nulla, il fisioterapista convinse un giocatore molto importante per la squadra italiana ad assistere al match.. Fu, penso, la partita di tennis più lunga della storia! I due si presentarono al palazzetto solo mezz’ora prima del match e senza aver pranzato! I Giochi Olimpici, ribadisco, sono una cosa a sé, ti mettono alla prova; vivi le emozioni tue e quelle degli altri Italiani: festeggi per esempio la medaglia di Federica Pellegrini, che magari ha la stanza di fianco alla tua, e a questo si aggiunge il vissuto quotidiano. Devi saper abbandonare il tuo metodo e adattarti alla situazione. Io ho allenato Finlandesi, Greci e Italiani. Devo dire che a noi mediterranei piace fare la partita, ai Finlandesi piace fare gli allenamenti. Ci sono poi tre variabili che non puoi allenare: l’avversario vero, l’arbitro e il pubblico. L’allenatore deve sapere quando e quanto intervenire: con i Finlandesi servivo di più alla domenica, il giorno della partita; con le squadre mediterranee invece dovevo spingere di più durante la settimana, perché la domenica erano già carichi di loro”.
Berruto sottolinea come il vero sportivo sia contento quando davanti a sé si trova avversari che giocano bene. “L’esempio è Yuri Chechi, che alle Olimpiadi, prima di salire come ultimo atleta agli anelli e conquistare l’oro, sapeva che i suoi avversari avevano fatto l’esercizio pressoché perfetto. Io sono dell’idea che non esista uno sport individuale. Qualunque prestazione sportiva ha dietro di sé un lavoro di squadra, spesso oscuro, a Yuri per esempio, la notte prima della gara faceva molto male la spalla e il fitoterapista gliela massaggiò a lungo; forse è anche grazie a quel fisioterapista se Yuri riuscì a salire sul gradino più alto del podio. Nella pallavolo, l’allenatore prova a installare nell’hardware dell’atleta un software, che poi spetta al giocatore accendere e usare come è meglio per lui, quasi inconsapevolmente”.

Domanda dal pubblico: “Maurizia, sei mai stata rincorsa dall’allenatore?”. “Certo! Ero a Busto, Bonitta, che all’epoca chiamavo BonHitler, durante le partite mi faceva stare in panchina. In allenamento, a due giorni dall’Europeo in Bulgaria, eravamo alle prese con la partita tra titolari e riserve; Marco mi fischia un fallo di doppia. Io mi avvicino e contesto. Lui si arrabbiò moltissimo, sembrava quasi volermi dare e vuole uno schiaffo. Aveva gli occhi gonfi di lacrime dalla rabbia. Decisi di andare via verso gli spogliatoi, non volevo continuare a discutere. E lui dietro che mi seguiva. Quasi senza accorgercene, facemmo tre giri del palazzetto, anche perché io non riuscivo a trovare le porte d’uscita! Ahahaha. Devo ringraziare Bonitta, al quale davvero voglio bene, perché mi ha fatto capire che una giocatrice non si può mai considerare arrivata, un giorno sei al top, ma già il giorno dopo puoi cadere fino al gradino più basso. L’umiltà e il duro lavoro fanno crescere in tutti i sensi”.

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